LatinoAmerica – Storia di un amore

LatinoAmerica – Storia di un amore pachamamas

LatinoAmerica – Storia di un amore

Sono atterrato in America Latina dieci anni fa per la prima volta con un bagaglio risicato, fatto soprattutto di buone letture e un film che, sopra tutti gli altri, aveva ispirato il mio viaggio: I diari della motocicletta (tratto dal libro di Che Guevara). 

Per tutti quelli che a questo punto storcono il naso temendo di leggere un articolo nostalgico sulla rivoluzione cubana, vi voglio rassicurare: il mio amore per questo film è nato solo perchè narra di un’avventura di viaggio, vissuta dai protagonisti della pellicola per mano di una sceneggiatura e fotografia eccezionali.

La mia idea di Latino America non era ancora formata a quei tempi, ma sapevo in cuor mio dell’esistenza di una terra meravigliosa, così vicina alla nostra cultura a seguito della colonizzazione, eppure così distante per passato, tradizioni e geografia.

Una terra così vasta in cui parlare, però, un unico idioma: lo spagnolo. L’amore per questa lingua mi ha aiutato nel processo di integrazione, così semplice e immediato per noi nati nello stivale d’Europa.

Buenos Aires è stata la città in cui ho trascorso le prime settimane da viaggiatore del continente Sudamericano, lì ho imparato lo spagnolo – e tutti gli ispano-parlanti ormai mi credono argentino quando apro la bocca – e da lì sono partito per il mio viaggio che ancora oggi non si è fermato: in Latino America infatti ci tornerò per tutta la vita. 

Nella citata pellicola cinematografica, consigliata a tutti gli amanti del viaggio, il personaggio principale, Ernesto Guevara, giovane medico idealista, si trova a dover dare un discorso pubblico di fronte ad alcuni medici e infermieri del lebbrosario in cui lui e il suo compagno di avventura, Alberto Granada, lavorano temporaneamente come volontari.

Ernesto, ormai pieno di riflessioni ed esperienze di viaggio, si lascia andare ad un ispirato discorso sull’unità del continente latino americano, dal Messico fino alla Patagonia, e sull’illusorietà e imprecisione dei confini tracciati tra i vari paesi.

Avevo ventitré anni quando lo ascoltai per la prima volta e l’idea di un mondo diviso solo da confini illusori tocco’ una corda della mia immaginazione, che non ha mai smesso di vibrare da allora; da quel giorno ho attraversato tanti confini nei miei viaggi, alcuni fatti solo di tende e filo spinato, e tante volte ho pensato quanto potessero essere illusori, ma soprattutto in America Latina ho avuto l’impressione che fossero tracciati solo nell’aria e per calcoli politici. 

Prima e dopo ciascuna frontiera, un’unica razza meticcia popola le strade e abita le case di un continente in cui per cinquecento anni soprusi, tensioni e violenza ne hanno dettato la storia politica ed economica; eppure, con sorpresa, i latinoamericani sono un popolo entusiasta, sognatore e con un umorismo vitale.

La loro filosofia di vita, i loro modi affabili e genuini hanno lasciato un profondo segno dentro di me, tanto che una volta ritornato a casa sapevo di non essere più la persona che l’aveva lasciata qualche anno prima.

Dopo il mio primo viaggio in Sudamerica, durato poco più di sei mesi, la vita mi ha portato in Messico, da lì a poco, dove mi sono trasferito per quasi un anno e mezzo lavorando come fotografo e chiamando fratelli le persone di cui mi ero circondato.

Sempre più affascinato da uno stile di vita e una cultura estemporanea, ho viaggiato poi per il Centro America con le sue striature caraibiche e rivoluzionarie.

La mia conoscenza dei paesi in cui ho viaggiato non è sempre stata approfondita alla stessa maniera, ma se chiudo gli occhi e penso alle mie esperienze di viaggio e di vita, prende forma nella mia mente un’immagine colorata e senza soluzione di continuità, plasmata da tutti gli sguardi e le conversazioni; profumi e sapori si mischiano, gli accenti si mescolano, ogni storia ritorna sempre ad un denominatore comune: Latinoamerica.

Come si sia costituita questa unità spirituale in un continente così variegato dal punto di vista geografico, etnico, economico è un mistero a cui qualche bravo antropologo o storico avrà dedicato dei tomi cercando di darne una spiegazione complessa, ma poco aggiunge alla incredibile sensazione di vivere e viaggiare in un mondo profondamente unito, nonostante usi e costumi diversi.

Nelle vene dei campesinos delle regioni rurali, con i visi cotti al sole e le mani rovinate dalla terra, vestiti con abiti strappati e sporchi, come in quelle dei manager di Santiago del Chile, intenti a copiare un modello di vita occidentale, scorre un’umanità fragile e assetata di vita, intenta a liberarsi delle strutture e delle regole ogni volta se ne presenti l’occasione.

Il continente Sudamericano, così sottomesso e maltrattato, non ha mai dimenticato cosa sia la libertà e, nonostante il sogno capitalista sia arrivato anche lì, non ha mai messo radici come in Europa; complice una geografia complessa e uno spirito semplice, i latino americani hanno sempre preferito la gioia del momento alla pianificazione della felicità con il calendario e hanno sempre dimostrato una scarsa lungimiranza; ma questa è la loro vita, vissuta senza reti di salvataggio, così meravigliosa e tragica allo stesso tempo.

Non è per tutti, ma nemmeno il Sudamerica lo è. Buon viaggio.

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