14 Apr Anche le foto non scattate contano
Fin da piccola sapevo che avrei voluto fare l’archeologa, non c’era alcun dubbio, era un decisione così chiara nella mia mente.
Poi qualcuno mi chiese “Oppure?” e io pensai “Oppure cosa? Non c’è oppure, non c’è un’alternativa, farò l’archeologa!”:in quel preciso istante si formulò l’enigma, non avevo mai pensato ad un’alternativa!
Così per giorni il pensiero mi ronzò nella testa finchè non mi venne in mente qualcosa che mi piaceva davvero e che avrei davvero potuto trasformare in un lavoro: la fotografia.
Da che ne ho memoria è sempre stata legata a momenti emozionanti della mia vita, l’ho sempre associata a momenti di benessere e felicità. Oggi scattare una foto fa parte della nostra quotidianità, ma c’è stato un momento in cui la macchina fotografica si tirava fuori per occasioni speciali: compleanni, cerimonie, feste, eventi. La portavamo in viaggio con noi durante le vacanze, consegnavamo con cura il ruffino al fotografo e attendevamo con trepidazione di vedere le foto su carta. A parlarne oggi sembra preistoria, ma che emozione!
Eppure il pensiero di diventare una fotografa non mi ha mai convinta davvero, mi piaceva troppo per trasformarla in un “lavoro” (che brutta parola!), preferivo conservarla tra le mie passioni personali e così con il mio primo stipendio da archeologa, comprai la mia prima bridge entry level, una Nikon D3200.
Camera Forever!
Ormai tutti i cellulari possiedono delle camere dalle prestazioni eccezionali, ma io sono della scuola: Camera Forever! continuo a preferire la buona, vecchia macchina fotografica a un qualsiasi smartphone di ultima generazione.
Perché un telefono potrà anche fare una foto ma non farà mai un fotografo.
Non fraintendetemi, questo non significa che non usi il cellulare per cogliere l’attimo in mancanza d’altro, tuttavia ci sono troppe cose che adoro di quella piccola scatoletta che lo smartphone non può soddisfare: il peso di tenerla al collo come fosse un gioiello prezioso; la mano che tengo sull’obiettivo cercando di proteggerla da qualsiasi cosa; l’impugnatura intorno al corpo macchina, scelto tra altre decine di modelli perché si adatti perfettamente alle mie mani; avvicinarla al viso e puntare l’occhio nel mirimo e infine, la cosa più importante: il suono dello scatto. Quel decimo, centesimo, millesimo di secondo in cui l’otturatore si chiude e produce un suono quasi sentimentale.
La perfetta metafora della vita
Nella mia romantica visione del mondo, la fotografia è la perfetta metafora della vita: tutta una questione di prospettiva.
Gli avvenimenti più negativi possono trasformarsi in un sollievo se visti nella giusta luce, le cose pesanti diventano leggerissime e anche il tuo corpo, preso nella giusta angolazione, sembra librarsi a 3 metri da terra, quando in realtà sono solo pochi centimetri. Imparare a cambiare prospettiva é uno dei grandi insegnamenti della fotografia; ci insegna a guardare le nostri vite da fuori ogni tanto, cercare la giusta luce, togliere quelle ombre che ci distorcono il viso, diminuire i contrasti.
Una delle tante cose che mi ha fatto innamorare di Marco é stata scoprire che fosse un fotografo, questo mi diceva già tanto di lui e, curiosità, proprio la fotografia ha avuto a che fare anche con il nostro “primo appuntamento” (così come l’archeologia, ma questa é un’altra storia!).
Era una calda giornata autunnale a Roma, Marco aveva portato con sé la sua macchina, una Nikon DF, bellissima, e io gli avevo chiesto di insegnarmi qualche trucchetto del mestiere. Passammo così tutto il giorno a passeggiare tra le strade e i quartieri della città: prima San Pietro e Prati, poi Castel Sant’Angelo, il lungo Tevere, il Pantheon, il quartiere ebraico, infine Trastevere. Le foto che abbiamo scattato quel giorno si contano sulle dita di una mano, ma quelle che scorrono nell’album dei miei ricordi sono molte di più.
La fotografia ha avuto una parte importante nella mia vita e anche in quella di Marco, in qualche modo si può dire che ci abbia avvicinato, ma allo stesso tempo ci sono cose che nessuna foto può raccontare, perché gli occhi con cui ci guardavamo quel giorno non sarebbero mai stati abbastanza luminosi in nessuna fotografia.
Sapete, anche le foto non scattate contano.
Marco mi ha insegnato che un bravo fotografo sa dosare i suoi scatti, anche se adesso il digitale ce ne regala un’infinità. Sa cancellare senza pietà tutte quelle che foto che non valgono la pena, ma soprattutto sa quando non scattare, quando la foto non renderà mai quel momento, quando vale solo la pena di viverselo.
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P.S. La foto di copertina è stata scattata da Luca Caparrelli, un bravissimo fotograto di Roma, vi invito a guardare il suo profilo su FB.
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