Il cappello Panama – una storia ecuadoriana

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Il cappello Panama – una storia ecuadoriana

Le origini del cappello e la sua storia

Il Panama, famoso cappello a tese larghe fatto di paglia leggerissima, è diventato nell’immaginario moderno un simbolo di eleganza, successo e stile, ma la sua storia è invece molto antica. Per prima cosa, bisogna subito liberare il campo dai fraintendimenti: nonostante dal nome si è portati a pensare che il cappello fosse originariamente prodotto nello stato centromaricano di Panamà, in realtà il copricapo è conosciuto in gran parte del Latinoamerica come “sombrero jibijaba o montecristi”, vale a dire le due cittadine ecuadoriane (!) situate nella provincia di Manabì dove fu originariamente ideato e prodotto.

Se volessimo fare un passo ancora più indietro nel tempo, dovremmo dare conto del fatto che i primi ad utilizzare cappelli di questo materiale leggerissimo erano i popoli aborigeni della costa ecuadoriana; dunque già al tempo dovevano aver apprezzato la praticità ed il confort della paglia toquilla, con cui il cappello viene manufatto, e la sua buona protettività dal sole e dalla pioggia. Si dice che furono gli stessi colonizzatori spagnoli a prendere spunto da questi copricapi indigeni per poi arrivare all’idea finale e al prototipo di quello che sarebbe diventato uno dei cappelli più conosciuti nel mondo.

Già nell’800 il Panamà acquistò prestigio ed il primo a riceverne uno in regalo fu lo stesso Napoleone Bonaparte per bontà del re di Spagna. Nel 1830 gli artigiani ecuadoriani riuscirono ad ottenere dallo stato la promessa che la paglia toquilla non venisse venduta all’estero, mantenendo in tal modo la produzione all’interno del paese; a questo scopo fu creata una scuola di artigianato nella città di Cuenca, nella parte meridionale dell’Ecuador. Qualche anno fa, durante il nostro viaggio in Sudamerica, ci siamo fermati per circa una settimana in questa deliziosa cittadina dall’aria curiosamente europeggiante e proprio qui, per la prima volta, abbiamo scoperto la storia di questo affascinante accessorio.

Nel 1849 quasi 200.000 esemplari del Panamà furono esportati all’estero per la vendita al grande pubblico e pochi anni dopo il cappello fu presentato all’esposizione universale di Parigi, ai tempi una delle più importanti vetrine dove mostrare le ultime evoluzioni tecnologiche, scientifiche e culturali. Da quel momento in poi il cappello ottiene il suo riconoscimento internazionale, tanto che a cavallo del ‘900 ai soldati americani di stanza nelle Filippine o nei Caraibi vengono distribuiti quasi 50.000 esemplari. Proprio negli Stati Uniti d’America, dove arrivavano gran parte delle esportazioni provenienti dal Centro e Sudamerica, il Panama prese piede diventando sinonimo di eleganza e successo; i primi esemplari erano indossati dagli operai che avevano lavorato alla realizzazione dell’istmo panamense (1900-1914) e da qui l’equivoco sulla sua vera provenienza.

Una volta entrato nella cultura americana, ovviamente il Panama ottenne la sua consacrazione a livello universale con il cinema e le varie celebrità che lo indossavano regolarmente: Humphrey Bogart, Frank Sinatra, Winston Churchill, Al capone e tanti altri aiutarono questa moda a prendere piede (esiste ancora adesso un modello chiamato “El Capone”!). Nel 1946 vennero esportati quasi 5 milioni di cappelli in tutto il mondo e ancora oggi per avere uno degli esemplari più pregiati vengono spese cifre di migliaia e migliaia di dollari.

Una delle cose forse più curiose è rappresentata dal fatto che mentre in Ecuador il cappello continuava ad essere portato tradizionalmente dai contadini e dalle fasce della popolazione più modeste, nel resto del mondo lentamente diventava uno degli status symbol delle classi più abbienti. Sono i paradossi della storia sulla base dei quali gli avvenimenti invece di seguire un ordine logico e causale si riproducono dal caos e dalla imprevedibilità delle circostanze.

Metodo di produzione – l’arte della cappelleria

 

Detto questo, il cappello Panama è il simbolo di un artigianato molto sviluppato nel continente sudamericano e, nello specifico, un esempio accattivante di arte cappelliera unica. 

La paglia toquilla deriva dai germogli della palma carloludovicana, chiamata così in onore di Carlo IV re di Spagna e sua moglie Maria Luisa, i primi a dare impulso alla catalogazione botanica di questa pianta in America. Questo particolare tipo di Palma cresce in tutto l’Ecuador, ma solo nella regione del Manabì trova condizioni favorevoli per crescere in abbondanza e fino ad una altezza di 6 metri. Altri paesi del Sudamerica hanno tentato invano di coltivarla per produrre cappelli che potessero competere con quello ecuadoriano senza però mai riuscirci. 

Le foglie dei suoi germogli, prima di essere intrecciate, devono essere bollite ed essicate per ben due volte prima di diventare estremamente resistenti. Il processo è complesso: si legano in fasci, poi vengono fatte bollire e infine stese a seccare per tre giorni; le più scure vengono schiarite con lo zolfo. Mentre si asciugano, le foglie si assottigliano e si arrotolano fino a formare i fili rotondi che saranno poi intrecciati. 

La tessitura è molto complicata e i migliori intrecciatori lavorano esclusivamente alla sera e al mattino presto, prima che le dita inizino a sudare per il caldo. I tipi di intrecci sono molteplici: si passa da una trama larga tipo pizzo all’uncinetto fino ad una più stretta detta “brisa”, la quale caratterizza i Panama di alta qualità. 

I cappelli vengono quindi classificati secondo la trama dell’intreccio e generalmente possono rientrare in quattro categorie fondamentali: standard, superior, fino e superfino. Osservando un superfino in controluce non si dovrebbe vedere nessun raggio di luce passare attraverso il cappello. 

Dopo la tessitura i cappelli sono rifiniti, sbiancati o dipinti e infine ornati con un nastro. La vendita dei cappelli può partire da un minimo di 15 dollari ed arrivare, come detto, a delle cifre straordinarie anche di migliaia di dollari quando il cappello viene abbellito con disegni e tinture fatte a mano.

Nella città di Cuenca, il commesso del negozio ci spiega il processo di lavorazione e ci mostra alcuni dei cappelli più rari e disegnati a mano: sono vere e proprie opere d’arte, finemente lavorate e con cura disegnate fino all’ultimo dettaglio. Un prezioso esempio di lavoro artiginale in cui natura, tradizione indigena e cultura si intrecciano (letteralmente!) per creare un oggetto fortemente legato alla storia del popolo ecuadoriano e alla sua terra.

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