
03 Mag I valori condivisi
Il denaro è stato il primo strumento nella storia dell’umanità ad unificare il mondo; dove religioni e imperi hanno fallito, o avuto successo solo parzialmente, il denaro è riuscito a introdurre nella vita delle persone un sistema di valori condivisi. Le amate banconote (o monete) di qualsivoglia stato del mondo rappresentano una costruzione mentale collettiva basata sulla fiducia reciproca: tutti possono cooperare in un progetto comune, apportando ciascuno le proprie capacità, a condizione che sia presente un intermediario fondamentale, il denaro, con il potere alchemico di trasmutare qualsiasi cosa nell’unico valore universale condiviso: la ricchezza economica.
Musulmani, cattolici ed ebrei, talebani, asiatici ed occidentali, operai, mercenari ed avvocati, borghesi, statisti e uomini di chiesa per millenni si sono azzuffati, ognuno predicando i propri valori in contrapposizione con quelli del proprio vicino, a volte attentando alle loro vite reciproche, ma sempre continuando a fare affari insieme attraverso la condivisione dell’unico valore sul quale non sentissero di essere mai in disaccordo: il denaro.
Una conquista eccezionale in un mondo frazionato e diviso, con delle conseguenze, però, molto pericolose: quando viene voglia di associare a tutto un prezzo, si può comprare e vendere qualsiasi cosa (compresi, per citarne solo alcuni, ideali, tradizioni, cultura e natura).
L’uomo ha da sempre avuto esigenze e visto opportunità nella propria vita; ma solo il denaro ha reso semplice e alla portata di tutti, rispettivamente il soddisfacimento o la concretizzazione di queste pulsioni.
L’amazzonia, ormai notizia stabile nelle cronache di tutto il mondo da decenni, viene distrutta regolarmente per denaro e il mondo occidentale è responsabile di quanto sta succedendo: non ci sono dubbi su questo.
Il denaro, però, non è solamente un valore occidentale, ma, come dicevo, universale e viene assimilato da qualsiasi popolo a contatto con la modernità: quando siamo arrivati a piedi in una comunità indigena dell’amazzonia, davanti ai nostri occhi c’erano solo piccole capanne di paglia, qualche campo coltivato a mais, animali sonnolenti e un gran senso di pace. Il paradiso in terra: che cosa dovrebbe desiderare di più un popolo abituato a vivere a contatto con una natura viva e estremamente generosa: frutta, verdura, pesci e animali selvatici sono a portata di mano. Tutto il resto del tempo è dedicato all’ozio e alla vita di comunità.
Ci raccontano la loro storia, come i loro nonni e bisnonni vivevano nel cuore della giungla, ne conoscevano tutti segreti e parlavano con lei; dopo l’arrivo dei primi missionari, questi popoli della giungla hanno iniziato a risalire i fiumi avvicinandosi ai primi centri abitati: commerciavano i prodotti della natura, scambiavano beni e ritornavano in fretta alle loro terre incontaminate.
Hanno lottato per secoli contro l’uomo bianco e i suoi soprusi e sono riusciti a mantenere un grande territorio all’interno della selva dove si sono costituite decine di comunità autonome.
Mentre trascorriamo le nostre giornate con loro, ci abituiamo a un ritmo di vita più lento e rilassato; godiamo della natura, di una vita spartana ma in cui non manca nulla e ci accorgiamo di ogni giorno che passa di essere sereni e soddisfatti.
Loro sono semplici, gentili e spesso sorridenti.
Però negli occhi del capo villaggio c’è un ombra di preoccupazione, di nervosismo ogni volta che si rivolge a noi per chiederci una e una sola cosa: denaro. All’interno della comunità godiamo di alcune attività organizzate dalla comunità stessa; ci offrono alloggio e vitto e in cambio chiedono giustamente un ritorno.
Però, mi chiedo, perché un ritorno economico? Qualche giorno al mese probabilmente devono andare al mercato nella più vicina città e presentarsi con denaro per comprare i pochi prodotti che non riescono a procurarsi in natura: i loro figli iniziano a frequentare le scuole e, quindi, hanno bisogno di libri e quaderni; nonostante ci ripetano spesso che nella selva possono estrarre qualsiasi tipo di medicina dalle piante, posso immaginarmi che ogni tanto abbiano bisogno di usufruire di un ospedale o di un servizio medico.
Si stanno insomma avvicinando sempre di più ad un sistema moderno occidentale e ne stanno acquisendo gli istituti fondamentali.
Ma perchè allora tanta preoccupazione, imbarazzo o nervosismo?
Una domanda a cui non so di fatto rispondere, ma lasciando spazio all’intuizione, una delle possibili spiegazioni potrebbe essere questa: nonostante la semplicità di vita e aspirazioni di queste persone, sono allo stesso tempo profondamente connessi con la natura circostante e traggono da essa un enorme conoscenza e saggezza, oltre che sostentamento; nel loro intimo intuiscono i rischi legati alle nostre amate banconote ma, avendo a che fare con turisti da tutto il mondo, si rendano conto del valore universale assunto dal denaro. Si adeguano quindi alla situazione, perchè lentamente sentono sorgere dentro di loro nuove esigenze e intravedono opportunità.
E’ comprensibile avvicinarsi al denaro per utilità, ma perchè non siamo capaci di trovare altri valori da condividere come comunità universale? Gli stessi valori adottati e tramandati da una piccola comunità indigena per migliaia di anni: uno di questi è la preservazione della natura e dell’ecosistema in cui abitiamo, ne dipendiamo e facciamo parte.
————— Bibliografia e riferimenti utili—————
Un grande contributo alla scrittura di questo articolo deriva dalla lettura di un brillante testo di antropologia, scritto da Yuval Noah Harari, professore di storia presso l’Università Ebrea di Gerusalemme. Il suo libro, Sapiens. Da animali a dei: breve storia dell’umanità, è un testo provocatorio e illuminante. Se questo articolo a stimolato la vostra curiosità sul tema dell’antrologia e dei rapporti tra diverse culture, vi consigliamo assolutamente di leggerlo!
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