Della vita e della morte – una storia messicana

Della vita e della morte – una storia messicana

“Una società incapace di celebrare la morte, sarà allo stesso modo incapace di celebrare la vita”: con queste parole Octavio Paz descriveva la società e la cultura messicana nel suo saggio antropologico divenuto un’opera iconica della letteratura messicana e non solo.

Uno degli aspetti più evidenti della società messicana è la sua vivacità; per le strade della gigantesca Città del Messico, come in quelle del più minuscolo paesino di campesinos, è facile notare, ovunque si dirigano gli occhi, una comunità attiva, pulsante, solidaria, sempre pronta allo scherzo, rumorosa e spavalda; non è difficile sentirsi coinvolti camminando per una strada messicana, perchè ci sarà sempre qualcuno interessato a quello che fai, da dove vieni o dove stai andando: e questo non succede solo a noi viaggiatori, che suscitiamo naturalmente la curiosità di chi ci incontra per la strada, ma a tutti, proprio tutti, perchè in Messico c’è sempre un motivo per interessarsi al prossimo, a volte con buone intenzioni, altre volte con intenzioni un pò meno nobili.

Le società, come la nostra, hanno perso lentamente questa vivacità esistenziale, in compenso hanno acquisito molte competenze e qualità.

Arrivati in Messico da pochi giorni, il nostro obiettivo è chiaro: arrivare al Lago di Patzcuaro il prima possibile per le celebrazioni del “Dia de los muertos”; dopo svariate ricerche, ci siamo convinti di voler trascorrere lì i giorni di festa, in mezzo ad una comunità tradizionale ed autentica.

Per intenderci, il dia de muertos o dia de almas (a seconda della regione in cui vi troviate) è una celebrazione che corrisponde ai nostri giorni a cavallo tra il primo e il secondo di Novembre; i Messicani, amanti delle feste, iniziano qualche giorno prima e finiscono qualche giorno dopo per essere sicuri di aver celebrato a sufficienza e di aver esaurito le proprie scorte di Tequila.

Siamo abituati, nei nostri cimiteri, a vedere molte persone entrare e uscire con qualche fiore in mano per ricordare i propri cari defunti e ravvivare la loro memoria. In Messico, la credenza vuole che la notte tra il 1 e il 2 Novembre i defunti compiano un viaggio dall’aldilà per ritornare su questa terra e trascorrere qualche ora con il loro amati parenti; a seconda del pueblo in cui vi troviate la tradizione può cambiare parecchio; per alcuni i defunti tornano ogni anno, per altri si presentano solo l’anno in cui sono mancati per poi rimanere per sempre nel mondo dell’aldilà. Per questo motivo il modo di celebrare i propri cari può variare molto, a seconda che si creda di poterli vedere ogni anno oppure salutarli per un ultima volta prima che ritornino, per sempre, nella loro nuova dimensione.

Quando arriviamo sulle sponde del lago, i preparativi per le celebrazioni sono già molto più avanti di quanto pensassimo; le strade sono già piene di bancarelle, commercianti da tutto il Messico sono arrivati con una valanga di prodotti tradizionali in piena esposizione: stoffe e tessuti, abiti, borse e zaini di cuoio, scarpe  e cappelli lavorati a mano, statue in legno e ceramica, maschere celebrative, anelli, monili, gioielli, tappeti e la lista potrebbe continuare all’infinito; ovunque ti giri è un tripudio di colori. Poi si passa alle bancarelle del cibo e qui la cucina messicana è varia quanto buona: tortillas, quesadillas, enchiladas, burritos, tacos e empanadas, di carne tritata, grigliata, spezzettata, sminuzzata, di suino, di vacca e pecora, polpette al sugo, al vapore, insaccate, inzuppate e pressate, mais cotto, salato e speziato, salse sparse ovunque con diverse gradazioni di piccante: il vegetarianesimo qui sembra non avere ancora attecchito. I messicani abbondano con aguacate, cilantro e cipolla e non finiscono mai un pasto senza qualcosa di dolce ed alcolico nella panza. Bambini scorrazzano per le strade, inseguendosi con stelle filanti e bombolette spray, le mamacitas agli angoli delle strade gridano vendendo un pò di tutto: pane e dolcetti fatti in casa. Per ogni abitante, un cane randagio si aggira per il mercato sperando di ottenere un pezzettino di questo banchetto itinerante. Gli anziani sono seduti fuori dalle case, ormai senza la possibilità di insegnare molto ai loro nipoti che non li preferiscono al cellulare.

In questo marasma cosmico scivoliamo lungo le strade, incuriositi e divertiti cercando il nostro posto in una celebrazione così sentita; la sera prima della festa, un caravanserraglio di macchine si snoda lungo tutto il paese; i più giovani hanno trasformato le loro rombanti automobili in posticci carri carnevaleschi con scritte, luminarie, fantocci. Il tema è prevalentemente quello di Halloween, quindi tutti sfoggiano maschere diaboliche, insanguinate, teste sgozzate o personaggi delle saghe più spaventose; le macchine continuano a girare per ore, con musica a tutto volume proveniente dalle casse voluminose montate nei bagagliai: a questo punto, le celebrazioni per il dia de muertos non sono neppure ancora cominciate…

Infatti quello che ci aspetta la sera successiva è difficile da rendere per iscritto: arriviamo al cimitero di Tzintzuntzan – uno dei villaggi più caratteristici sul lago –  poco dopo le dieci di sera, quando già una fiumana di persone ha invaso le strade del paese; ci incamminiamo con loro scendendo giù verso l’arteria principale del villaggio, dove un tappeto di bancarelle di cibo ci accoglie con odori e profumi dai più seducenti ai più disparati. Migliaia di persone si muovono freneticamente in un verso o nell’altro, cercano di farsi spazio come in un formicaio in fiamme. Più ci avviciniamo al cimitero, più il suono della musica si fa assordante; ad un certo punto, in lontananza, un tappeto di luci abbaglia il cielo in mezzo alle tombe di cui intravediamo solo le sagome. Persi nel turbinio delle persone, finalmente riusciamo ad entrare nel cimitero e lo spettacolo è stupefacente; vicino, intorno ad ogni tomba sono state posizionate decine di candele accese, le famiglie sono radunate intorno ai propri defunti, altari ricchi di cibo sono stati posizionati per accogliere i beneamati dal loro ritorno dall’aldilà. La commozione generale è alta; bande di fanfare, trombe e tamburi girano per le varie tombe intonando canzoni celebrative; il rumore a questo punto è oltre il limite accettabile.

Moltissime persone cantano, ballano, danzano: è un caos condiviso in cui ogni clan celebra i propri cari mentre tutti insieme partecipano a questa catarsi collettiva. Ne usciamo qualche minuto più tardi e ormai le strade del paese sembrano un’oasi di tranquillità rispetto a quello che succede dentro al cimitero.

Perché una società è così festiva e celebrante in un momento così delicato e triste come può essere il ricordo della perdita di un proprio caro? Perché nella nostra società questo slancio nei confronti della morte si è perso in gran parte?

Sono domande a cui è difficile dare una risposta certa e definitiva, però è evidente che una società (come la nostra) iper-organizzata e fortemente incentrata nello sviluppo tecnologico e nel benessere materiale tende a sviluppare nei propri cittadini diverse attitudini: per prima cosa, un senso di onnipotenza diffuso per cui tutto è possibile e raggiungibile da parte della scienza e dalla tecnologia che difficilmente può alimentarsi quando messo a confronto con il fatto ineluttabile della nostra fragilità rispetto alla vita; poi, un senso di immortalità diffuso in cui ciascuno dimentichi la propria fine e perda la prospettiva per cosa sia importante lottare e  dedicare la propria breve vita; infine, un senso di paura diffuso sulla base del quale ciascuno si limita allo svolgimento delle attività che la società ritiene più importanti e soddisfacenti, senza mai affrontare in profondità il senso della propria vita (e, di riflesso, della propria morte).

E’ un dato di fatto che, fatta eccezione per la religione, nella nostra società laica il compito di confrontarsi con l’incerto, la morte, lo sconosciuto è stato lasciato cadere nel nulla: a scuola è raro che qualcuno affronti questi argomenti, in famiglia non se ne parla molto fatta eccezione per quando si verifichi la tragedia di un parente deceduto e le istituzioni di governo non si interessano all’argomento, nemmeno dal punto di vista della tutela di chi è costretto ad affrontare una malattia terminale; pensate solo al fatto che almeno in alcuni paesi europei esistono già delle figure professionali per accompagnare le persone affette da malattie terminali a confrontarsi con l’ultimo passo della loro vita. In Italia, il compito è stato volontariamente assunto da alcune associazioni senza scopo di lucro, senza però alla base un’iniziativa nazionale, uno spirito collettivo che dovrebbe far parte di una nazione organizzata, compassionevole e civile.

In questo come in molti altri casi, prepararsi è sempre meglio che arrivare al fatto compiuto senza avere strumenti utili per affrontare la situazione; e chi, di solito, ascoltando o leggendo questi discorsi, storce il naso tacciandoli di pessimismo e insensibilità dimentica il fatto che la morte è parte integrante della nostra vita, un evento naturale come il parto, di solito circostanza salutata come felice e promettente.

C’è un modo per affrontare questo argomento, senza rendere la propria vita deprimente? Sicuramente la celebrazione del dia de muertos in Messico ci ha dato qualche spunto divertente e chiassoso. Per chi volesse approfondire l’argomento per proprio conto, consiglio di leggere il “Libro Tibetano del vivere e del morire” di Sogyal Rinpoche, un monaco tibetano che si interroga su questi argomenti con grande profondità, sensibilità ed ironia offrendo, a chi ne abbia voglia, un cammino spirituale da intraprendere.

Ci svegliamo nel nostro letto a Patzcuaro con nelle orecchie il frastuono della notte precedente ma solo perché i messicani non hanno ancora smesso di festeggiare: i botti e i fuochi d’artificio non sono nella nostra immaginazione, qualcuno li sta sparando a quest’ora fuori le finestre della nostra stanza! Non possiamo dire di essere felici per questa sveglia mattutina, ma l’esperienza della notte precedente è stata magnetica e indimenticabile. Que viva Mexico!

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